Mantenimento del figlio maggiorenne, il contratto a tempo determinato non esclude il raggiungimento dell’indipendenza economica

Ago 4, 2022 | Senza Categoria | 0 commenti

In tema di contributo al mantenimento dei figli maggiorenni, il giudice a cui sia chiesta la revoca del corrispondente assegno, in ragione del reperimento da parte del figlio di un’occupazione lavorativa, è chiamato a valutare in concreto il raggiungimento dell’indipendenza economica considerandone l’effettivo inserimento nel mondo del lavoro.

Ciò in base alle specifiche attitudini dimostrate e alle correlate aspirazioni, senza che abbia rilievo, in sé, ai fini dell’esclusione dell’indipendenza economica del figlio, il fatto che il contratto di lavoro sia a tempo indeterminato né che l’ammontare del compenso sia inferiore a quello astrattamente possibile per effetto del possesso di un titolo di studio capace di farne conseguire uno più alto.

È la Corte di Cassazione a tornare, nuovamente, su una tematica abbastanza analizzata, da dottrina e giurisprudenza. 

La Suprema Corte, mediante ordinanza n. 22076/2022, detta ulteriori precisazioni in materia di mantenimento del figlio maggiorenne. 

La ricostruzione della vicenda appare interessante nella comprensione proficua del provvedimento citato.

Un padre agiva in giudizio dinanzi al Tribunale di Ascoli Piceno chiedendo la revoca del contributo al mantenimento del figlio, stabilito in sede di divorzio. Il giudice di prime cure aveva sospeso l’obbligazione del ricorrente alla dazione dell’assegno, con decorrenza dalla domanda. Stabiliva, però, che l’obbligazione doveva intendersi ripristinata qualora il figlio fosse stato privo dell’occupazione lavorativa se non stabile, quantomeno continuativa, e remunerata quantomeno nella misura da lui percepita in quel momento. Avverso il decreto veniva proposto reclamo dinanzi alla Corte di Appello di Ancona, che lo respingeva. La Corte territoriale rilevava che il figlio si era diligentemente attivato per reperire un’occupazione lavorativa, era stato assunto a tempo determinato per la durata di un anno, salvo conferma di uguale periodo. Tali circostanze, tuttavia, non erano sufficienti a ritenere raggiunta l’indipendenza economica, sia per la temporaneità dell’incarico, sia per la percezione di un reddito non adeguato al titolo di studio (laurea in giurisprudenza) e alle conseguenti aspirazioni professionali.

Avverso tale decisione il padre proponeva ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. In particolare, l’uomo rilevava come la Corte di Appello avesse escluso il raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio, pur in presenza di un’occupazione annuale alle dipendenze di un ente pubblico, prorogabile e ben retribuita. Riteneva, invero, che la Corte avesse adottato una motivazione generica e illogica reputando non provata la raggiunta indipendenza economica, nonostante la percezione di uno stipendio non esiguo.

Come è pacifico, la giurisprudenza più autorevole ritiene che l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli non cessi, ipso facto, con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma possa perdurare, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività economica dipenda da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso. La Suprema Corte, richiamandosi alle sue recenti pronunce, afferma che il figlio maggiorenne vanta il diritto al mantenimento a carico dei genitori solo se, concluso il percorso formativo scolastico, comprovi, con onere probatorio a proprio carico, di essersi adoperato per rendersi autonomo in senso economico, impegnandosi in modo attivo per reperire un’occupazione sulla base delle opportunità offerte dal mercato del lavoro, ridimensionando, se necessario, le proprie aspirazioni senza indugiare nell’attesa di un’opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni.

I genitori, dal canto loro, hanno il compito di assecondare, per quanto possibile, le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio, consentendogli di cercare un’occupazione appropriata al suo livello sociale e culturale, anche attraverso la somministrazione dei mezzi economici necessari, senza forzarlo ad accettare soluzioni degradanti o non desiderate. I Supremi giudici affermano che, per costante giurisprudenza, l’obbligo del genitore al mantenimento dei figli maggiorenni cessa nel momento in cui questi ultimi raggiungono l’indipendenza economica reperendo un lavoro. Una volta raggiunta la capacità lavorativa, e quindi l’indipendenza economica, la successiva perdita dell’occupazione non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento. Pertanto, bisogna valutare attentamente i presupposti per la cessazione del contributo al mantenimento in presenza di occupazioni lavorative occasionali o saltuarie. Nel caso di occupazioni a tempo determinato, di durata annuale o pluriennale, anche se prorogabile, che consentano di lavorare a tempo pieno per numerosi mesi, ottenendo un compenso dignitoso, i giudici di Piazza Cavour ritengono che non si possa negare a priori l’acquisizione della capacità lavorativa. Per la Suprema Corte un ostacolo al raggiungimento dell’indipendenza economica può essere dato dall’adeguatezza dell’occupazione reperita alle aspirazioni e alla professionalità acquisita dal figlio maggiorenne, ma tale accertamento deve essere effettuato in concreto dal giudice, tenendo conto dell’età del figlio, delle sue effettive attitudini e potenzialità reali. La Corte di Appello – che ha ritenuto ostativi al raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio maggiorenne la temporaneità dell’incarico e la percezione di un reddito non corrispondente al titolo di studio e alle aspirazioni professionali dello stesso – avrebbe dovuto effettuare una valutazione in concreto, sulla base delle deduzioni e delle prove offerte dalle parti, delle specifiche ragioni che non consentono di ritenere raggiunta l’indipendenza economica.

In conclusione, la Prima Sezione della Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, ritiene fondati e meritevoli di accoglimento il terzo e il quinto motivo di ricorso e assorbiti i restanti. Ha cassato il decreto impugnato e rinviato la causa alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, che dovrà provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Fonte: AIAF SICILIA